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Risparmiare sul sociale non è risparmiare.

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Quanto accaduto nella comunità di Busto Arsizio, la violenza ai danni di un operatore da parte di quattro utenti, tutti italiani, tutti minorenni, ci insegna un sacco di cose.

Un sacco di cose che, chi lavora nell’ambiente, già sa.

Chi lavora nelle comunità educative per minori sa che dovrà fare i turni di notte e sa che li farà da solo.

Non gli sta bene. Non sceglie di farlo. È che funziona così. Funziona così in Lombardia. 

Arrivano echi lontani che, forse, in regioni illuminate come l’Emilia, sia leggermente diverso, ma non posso dirlo perché non lo so.

Insomma. 

Il personale educativo presente in struttura è uno.

Al di là del numero degli utenti.

Quindi rimane da solo, con 10/12 minorenni che in teoria dormono.

Non stiamo parlando di orfanotrofi, di stanze con 12 letti uguali, punizioni corporali e privazione di cibo.

Parliamo di Busto Arsizio, Varese, Lombardia, camerette da 2/3 letti, personale laureato e signora delle pulizie che arriva al mattino ed è tanto simpatica, mette su anche il caffè.

Parliamo di contratto nazionale dei lavoratori.

Insomma, alle 22:00 il collega se ne va e rimani tu, coi tuoi pargoli.

Bambini e ragazzini collocati in comunità dal Tribunale per i Minorenni, quello che stabilisce se mamma e papà sono in grado di svolgere il loro compito genitoriale, quello che affida il minore ai servizi sociali affinché gli trovino una collocazione idonea (per intenderci, una in cui non venga malmenato in base alla qualità di alcool ingerito o in cui, banalmente ma non troppo, gli sia concesso di andare a scuola o far parte di una squadra di calcio).

Sono bambini e ragazzi cresciuti in contesti socio-culturali particolarmente poveri, bambini e ragazzi che hanno imparato a darle ma, di più, a prenderle.

Persone che non sanno il valore della vita, della libertà individuale, che non hanno sviluppato capacità empatiche e per cui l’Altro è, nella migliore delle ipotesi, un fastidio da sopportare (perché loro si sentono un fastidio da sopportare).

L’ente colloca questi ragazzini deprivati in contesti comunitari, che li accolgono e, come mandato, cercano di colmare le enormi lacune lasciate da genitori che non sono stati in grado (per moltissimi motivi differenti) di preservare i loro figli dalle proprie difficoltà.

Ecco.

I fatti di Busto ci dicono che stiamo sbagliando.

Se quattro ragazzini concordano quello che hanno agito, il sistema educativo ha fallito.

Ma non ha fallito quello di tal comunità, no.

Ha fallito tutto. A partire dalla superficialità con cui vengono a volte fatti gli inserimenti in comunità, dettati più dal numero che da un reale pensiero educativo, dalla reale idoneità del contesto, al fatto che si investa troppo poco sulla continuità educativa (se gli operatori cambiano in continuazione, come si fa a guarire la ferita relazionale di questi ragazzi? Come stabiloscono un rapporto di fiducia con un adulto? Dove lo trovano il famoso punto di riferimento, la base sicura?), al fatto che chi oggi ha sentito la notizia si sia chiesto perché venga lasciata una ragazza da sola in comunità di notte.

Noi che ci lavoriamo quasi sorridiamo.

Ne abbiamo viste tante.

E sappiamo che le circostanze di Busto sono quelle in cui ci siamo trovati anche noi tante volte.  E magari non c’è stato lo stupro di gruppo ma pestaggi e angherie varie sì, molte.

E allora facciamo che serva a qualcosa, questa storia.

Serva a smettere di tagliare i fondi per il sociale.

Serva a sensibilizzare chi col sociale non ha mai avuto a che fare.

Serva a quelli che pensano che i soldi per il sociale vengano messi in tasca da non si capisce bene chi, forse dai “i servizi sociali che rubano i bambini e li mettono in comunità per niente”.

Risparmiare sul sociale non è risparmiare.

Risparmiare sul sociale è avere poco personale, stanco o poco formato (la paga è ridicola, sia per responsabilità che per formazione, persone laureate che hanno la responsabilità di questi ragazzi e che percepiscono all’incirca 7 euro all’ora), avere luoghi non adatti, troppi ragazzi in una sola struttura, ché poi si annoiano e fanno branco, cercare una struttura che costi meno di un’altra, non fornire supporto psicoterapeutico agli utenti e un’adeguata supervisione agli operatori.

Vuol dire che invece di pagare un operatore in più, ora i contribuenti pagheranno le indagini, le spese processuali,il risarcimento morale, l’incarcerazione, il percorso riabilitativo (che porterà al successivo arresto), le altre comunità, eccetera, eccetera, eccetera.

Riaparmiare sul sociale non è risparmiare

Investire sul sociale è risparmiare

[Il presente post non vuole esaurire l’argomento né dare risposte. Vuole solo sollevare domande]