Running therapy

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Running therapy

Oggi ho fatto della running therapy. Che non è la terapia di corsa ma la corsa terapeutica.

Che correre faccia bene si sa, quindi niente smaronamenti [termine tecnico] a riguardo.

Ultimamente le mi corse sono diminuite e io sono diventata più pesante e allora, nel beato circolo vizioso conosciuto ai più, per un pochetto ho corso poco e di fretta.

Oggi, però, non solo avevo tempo ma anche energie. [questo perché la mia amica @aPIcult ha sempre delle idee grandiose e felici, tipo quella di ricominciare ad assumere il magnesio -comediavolohofattoadimenticarlo?!]

Quindi mi sono caricata di acqua e mi sono detta: “Andiamo, maledetti grassi: vi rimando da dove siete venuti” con aria cattiva e anche un po’ mentendo, perché mica venivano da dove stavo andando io, ma loro tanto che ne sanno?

 

Ad ogni modo.

Chi corre lo sa, mentre corri, se lo fai per stare bene [#runforhealth suona male e sembra #corrosenohogliacciacchi, #corroperchémelohadettoilmedicocheètantounbravuomo, ma non è proprio quella roba lì] succedono tutte delle cose per cui, di fatto, riesci a mettere in ordine i pensieri, trovi soluzioni, scarti problemi non realmente tuoi e via discorrendo, perché, si diceva in altri post, bisogna correre leggeri e il ciarpame [altro termine tecnico] va scaricato cammin facendo.

Bene. Stamattina ho scaricato un sacco di ciarpame.

E, ancora meglio, ho inspirato un sacco di bene.

Intanto ho realizzato che chi mi dà tanto fastidio probabilmente sta molto male.

Lo sapevo già, ma oggi mi è dispiaciuto. Mi dispiace che stiano male. Ma mi dispiace davvero e ho augurato loro che passi presto, perché star bene, anche passando attraverso il male, si può. Se ne può uscire dalla sofferenza, che, scoprii io correndo, non è obbligatoria.

Inoltre, cara la mia autrice del post, se qualcuno ti dà fastidio in realtà il fastidio è tutto tuo.

Quindi, pensavo correndo, smettere di essere infastiditi è un processo del tutto autoreferenziale, che non necessita che gli altri smettano alcunché.

Oltretutto, pensavo sempre correndo, chissà a quante persone ho dato fastidio io senza nemmeno rendermene conto.

Oh, beh. Ogni tanto me ne sono accorta, eh.

Ma magari molte volte no.

Tipo: ho scoperto di recente, lamentandomi con mio fratello di una persona che, presumibilmente senza rendersene nemmeno tanto conto, tende, diciamo così, a prendere spunto da cose mie, che il suddetto fratello ha passato una vita intera con [cito] “una più piccola che voleva fare tutto quello che facevo io. Sì, è fastidioso. Ma in fondo ti dice che come sei piace e va bene, funziona.”

La cosetta piccola e fastidiosa che lo imitava sono io.

E non ho potuto dire altro se non “eh, ma a me sembrava tutto così figo!” omettendo tutte le volte in cui la frustrazione ha superato la figaggine.

Perché, per quanto io sia cresciuta al suono roboante interno del “se lo fa lui magari posso farlo anch’io”, senza mai minimamente considerare il fatto che lui fosse maschio [e, a quasi 34 anni mi tocca ammetterlo: sì, cambia essere maschi o femmine] e più grande e, semplicemente, un’altra persona [diversa da me, con altre qualità ed altre difficoltà] mica sempre sono riuscita a “fare come” o a “fare meglio”.

E che mi piaccia o no, questo mi ha frustrata un sacco.

E quindi, ricordandomi di ciò e mettendo insieme i pezzi ho pensato: “oh, mio Dio, io sto qui a fare l’infastidita e, invece, di là si soffre tantissimo! Toh, prendi tutti i pezzi miei che vuoi, se ti servono. Davvero. Me ne farò altri, nel caso”.

Insomma, ho pensato che essere passati nelle sofferenze non serva proprio a niente se non le si utilizzano per comprendere ed aiutare quelle degli altri. A cosa serve stare male se non riusciamo a farne qualcosa di bello? Se non riusciamo a perdonare agli altri la sofferenza?

[“nella pietà che non cede al rancore”, @ida_bauer_, ricordatelo sempre]

Insomma, sono tornata dalla corsa felice, omettendo i tempi e mettendo l’accento sulle calorie perché, in fondo, mica si può avere sempre tutto da una corsa.

O sì?

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